Il Sacro Graal, Arild Rosenkrantz

Il Sacro Graal, Arild Rosenkrantz
Nella divinità del mondo
troverò me stesso
in essa io riposo
risplende la divinità dell'anima mia
nel puro amore per tutti gli esseri,
risplende la divinità del mondo
nei puri raggi della luce.
-R.Steiner-

giovedì 26 settembre 2013

San Francesco...



Rudolf Steiner:
San Francesco d'Assisi




    Per caratterizzare le forze morali personali che si concentrarono nella individualità di Francesco d'Assisi cerchiamo di delineare la cosa davanti all'anima come essa si presenta al­l'occultista, anche a costo di venir tacciati di pazzia o di superstizione. E' bene prendere sul serio questi fatti, perché essi agirono altrettanto sul serio in quel periodo di transi­zione.

È noto che Francesco d'Assisi era figlio del mercante Pie­tro Bernardone e di sua moglie Pica. Il padre faceva molti viaggi in Francia per affari ed era un uomo cui le apparenze esteriori stavano molto a cuore. La madre era donna di pie virtù, di fine sensibilità di cuore, devota e religiosa. Le leg­gende che circondano la nascita e la vita di Francesco d'Assi­si corrispondono realmente a fatti occulti. Spesso nella storia fatti occulti realmente avvenuti vengono adombrati con im­magini e leggende. Così è assolutamente vero che un certo numero di persone, prima che Francesco d'Assisi nascesse, vennero a sapere per mezzo di visioni o rivelazioni che do­veva nascere un'importante personalità, fra esse S. Ildegarda*. Insisto su questi fatti storici, controllati attraverso l'indagine della Cronaca dell'Akasha. A S. Ildegarda Apparve in sogno una donna col volto laceratole grondante sangue che le disse: «Qui,,sulla terra gli uccelli hanno il loro nido, le volpi.. le loro tane, io però non ho nulla, neanche un bastone su cui appog­giarmi». Quando Ildegarda si svegliò da questo sogno, ebbe coscienza che questo essere rappresentava la vera immagine del cristianesimo. Così sognarono molte altre persone e, si convinsero che l'apparato esteriore della Chiesa non era l'in­volucro adatto a contenere il vero cristianesimo.

Così avvenne realmente che, mentre Pietro Bernardone si trovava in Francia per affari, un pellegrino entrò in casa da Pica, la madre di Francesco d'Assisi, e le disse: «Il figliolo che tu aspetti non potrà venire al mondo in questa casa dove abbonda il superfluo. Per seguire il suo maestro egli dovrà nascere sulla paglia e perciò tu dovrai partorirlo nella stal­la!». Non è leggenda, ma pura verità, quell'invito rivolto alla madre di Francesco d'Assisi. Per cui, mentre il padre era as­sente, la nascita del bambino potè effettuarsi così sulla paglia e nella stalla.

Anche quanto segue corrisponde a verità: qualche tempo dopo la nascita del bambino, nel luogo dove era nato, si vide un uomo strano, mai visto prima d'allora e mai più dopo, che percorreva le strade annunciando: «In questa città è nato un uomo importante!» — Altra gente che viveva ancora in uno stato di coscienza chiaroveggente udì un suono di campane nell'ora della nascita di Francesco d'Assisi.

Molti avvenimenti simili potrebbero ancora venir enume­rati, ma a noi bastano questi per dimostrare come sulla com­parsa di una singola personalità si sia concentrato allora tut­to il mondo spirituale. Aggiungendo ancora un altro episodio, tutto questo apparirà sempre più interessante. La madre aveva pensato che il bambino dovesse chiamarsi Giovanni, e così fu chiamato. Solo quando il padre tornò dalla Francia, poiché in Francia aveva fatto buoni affari, volle, a sua idea, che a suo figlio fosse imposto il nome di Francesco. Ma origi­nariamente il bambino si chiamava Giovanni.

Ci basti rilevare pochi fatti dalla vita di questa singolare personalità. Che cosa ci si rivela dell'uomo Francesco d'Assi­si, osservandolo da ragazzo? Ci sì rivela che egli si comporta come un discendente dell'antica cavalleria germanica, e ciò non deve meravigliarci date le molte mescolanze di popoli seguite alle invasioni dal nord: coraggioso, battagliero, per­vaso dall'ideale di acquistarsi fama ed onori con le armi. Questa era anche la dote principale che Francesco d'Assisi ereditò come una caratteristica di razza. Si può dire che, in lui, le proprietà che nell'antico germanesimo si presentavano sotto l'aspetto interiore di doti del cuore e dell'anima, appaio­no piuttosto esteriorizzate. Così egli non divenne altro che un dissipatore. Profondeva a piene mani le ricchezze del padre, mercante molto agiato. Dovunque andasse prodigava le ric­chezze e i frutti del lavoro paterno. Era sempre pronto a distribuire doni ai suoi compagni di gioco. Nessuna meraviglia perciò che egli venisse sempre eletto condottiero dai suoi gio­vani compagni durante gli infantili giochi guerreschi e che tutti lo considerassero veramente un ragazzo-guerriero. Come tale era conosciuto in tutta la città. Tra i giovani di Assisi e di Perugia c'erano spesso dei combattimenti; durante uno di questi Francesco venne catturato e trattenuto prigioniero con i suoi giovani compagni. Non soltanto sopportò cavalieresca­mente la prigionia, ma incitò anche gli altri ad imitarlo, fin­ché dopo un anno tutti furono liberati e poterono tornare alle loro dimore. E quando, essendo in servizio di cavalleria, si trovò nella necessità di prender parte ad una spedizione con­tro Napoli; il giovane Francesco ebbe in sogno una visione. Vide in un gran palazzo molti scudi e molte armi; e vide una parte dell'edificio dove erano sparsi frammenti di armi. Egli ne trasse la conseguenza che ciò fosse un incitamento a di­ventare un guerriero e si decise a partecipare alla guerra contro Napoli. Ma già per via, e ancor più dopo che si era unito alla spedizione, ebbe varie visioni e rivelazioni interiori; sentì una voce che gli diceva: «Non andare oltre, hai interpretato male la visione del sogno che era per te della massima importanza. Torna ad Assisi e ti verrà rivelato come lo devi giustamente interpretare». Egli obbedì a queste parole, tornò ad Assisi, e lì ebbe un colloquio spirituale con un essere che gli disse: «Non devi servire esteriormente la tua vocazione di cavaliere. Tu sei destinato a trasformare tutte le tue forze in forze dell'anima, da foggiare come armi che dovrai usare animicamente. Tutte le armi che vedesti nel palazzo significano per te le armi ani-miche e spirituali della pietà, della compassione e dell'amore. Tutti gli scudi significano la forza della ragione e del discer­nimento per conservarti forte nei patimenti di una vita dedi­cata alla pietà, alla compassione, all'amore»
Seguì una breve ma abbastanza pericolosa malattia, dalla quale tuttavia guarì. Indi visse per diversi giorni in una visione retrospettiva che si estese su tutta la sua vita passata. Il prode cavaliere che nei suoi sogni più audaci aveva tanto agognato di poter di­ventare un eroe guerriero, si era temprato a nuovo in un uomo che andava alla ricerca degli impulsi morali della com­passione, della pietà e dell'amore, fino all'estremo. Tutte le forze che voleva prima usare a servizio del piano fisico si erano trasformate in impulsi morali della vita interiore. Non è senza significato che noi osserviamo proprio un grande impulso morale, poiché non ogni singolo può sempre elevarsi alle più alte vette degli impulsi morali, e imparare si può proprio soltanto da coloro nei quali gli impulsi si esprimono radicalmente e nei quali noi li vediamo agire nella loro più grande potenza. Appunto quando dirigiamo la nostra attenzione alle grandi cose fondamentali, per osservare le pic­cole alla luce che da quelle risplende, possiamo arrivare a un giusto punto di vista sugli impulsi morali della vita. Che cosa avvenne dunque nel caso di Francesco d'Assisi? Non è necessario descrivere le lotte che egli ebbe con suo padre, quando egli passò a un tutt'altro genere di prodigalità. Il padre poteva comprendere ancora la precedente prodiga­lità del figlio che dava notorietà e lustro alla casa paterna, ma non poteva capire che il figlio, dopo la sua trasformazio­ne, gettasse via i suoi vestiti migliori, e anche l'indispensa­bile, per dare tutto ai bisognosi. Egli non potè capire la tra­sformazione che aveva portato suo figlio a dirsi : «E' incre­dibile come si faccia poca attenzione a coloro attraverso i quali gli impulsi cristiani hanno raggiunto risultati così gran­diosi in occidente», e che lo spinse, in conseguenza, a fare un pellegrinaggio a Roma per deporre una grossa somma di denaro sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo. Queste cose il padre non poteva capirle. Non occorre descrivere le lotte che ne seguirono. Basta osservare che in queste lotte, per Francesco d'Assisi, si erano concentrati tutti gli impulsi morali. Questi avevano trasformato il coraggio e il valore in facoltà interiori dell'anima; e queste si erano così sviluppate da provocare in lui uno straordinario rafforzamento nelle meditazioni, sino ad apparirgli in forma di croce col Croci­fisso. In questi stati egli provò un interiore personale rap­porto con la croce e col Cristo, e da ciò gli vennero le forze per mezzo delle quali egli potè aumentare in modo smisurato gli impulsi morali che ora lo attraversavano.

Una meravigliosa utilizzazione trovò egli per ciò che ora in lui si sviluppava. In quell'epoca molti paesi europei erano ossessionati dalla paura della lebbra. La Chiesa aveva un me­todo straordinario per curare i lebbrosi, allora numerosissimi. I preti chiamavano a sé gli infermi e dicevano loro: «Tu sei stato colpito da questa malattia in questa vita, ma se tu sei perduto per la vita, sei conquistato a Dio, sei consacrato al Signore»; e il malato veniva allontanato verso luoghi solitari dove finiva la sua vita solo e abbandonato da tutti.

Non che io muova rimprovero a questa cura; non se ne conoscevano altre, né migliori. Ma Francesco d'Assisi ne co­nosceva, invece, una migliore, e qui se ne parla perché questo ci condurrà fuori dalle esperienze immediate fino alle sor­genti della moralità. Nei prossimi giorni si vedrà perché ci occupiamo di queste cose. Francesco d'Assisi fu guidato a cercare i lebbrosi dovunque essi fossero senza temerne il con­tagio. Ed un male contro il quale allora nulla potevano i farmaci, per cui era necessario allontanare i malati dalla comu­nità umana, fu guarito in molti casi da Francesco d'Assisi, perché egli si presentava a questa gente proprio con le forze dei suoi impulsi morali che gli toglievano la paura e gli davano sempre più il coraggio non soltanto di lavare accura­tamente le piaghe dei malati, ma di vivere con loro, di cu­rarli intensamente, di baciarli, di penetrarli col suo amore. Non è quindi solo poesia la guarigione del povero Enrico per opera della figlia del fedele servitore; essa rispecchia ciò che in molti casi in quel tempo era accaduto per opera della personalità storica ben nota di Francesco d'Assisi. Rendia­moci conto di quanto è avvenuto. E' accaduto che in un uomo come Francesco d'Assisi fosse presente un immenso capitale di vita psichica; quello che noi abbiamo riscontrato nelle antiche popolazioni europee, sotto forma di coraggio e di audacia, si era trasformato in lui in attiva forza animica e spirituale. Lo stesso impulso che negli antichi tempi, sotto forma di coraggio e audacia, aveva portato ad uno spreco di energie personali, e ancora si era manifestato in Francesco d'Assisi nelle sue prodigalità giovanili, ora invece lo spinge a diventare un prodigatore di forze morali. Egli traboccava di forza morale, ed effettivamente ciò che aveva in sé si river­sava su tutti coloro cui rivolgeva il suo amore.

Dobbiamo sentire assolutamente che in ciò vi è una real­tà, analoga a quella che vi è nell'aria che respiriamo e senza la quale non potremmo vivere. Una simile realtà scorreva nelle membra di Francesco d'Assisi e da qui in tutti i cuori a cui si dedicava, poiché Francesco d'Assisi prodigava una pie­nezza di forze che scorrevano fuori di lui; e proprio questoquid fluì nell'intera vita dell'Europa più matura e vi si incorporò trasformandosi in elemento animico e agendo con­temporaneamente nella realtà esteriore.

Riflettiamo bene su questi fatti che forse possono, in fon­do, sembrare estranei agli attuali problemi morali. Cerchiamo di capire che cosa sta alla base della devozione indiana e del coraggio nordico; consideriamo l'azione risanatrice delle forze morali che furono adoperate da Francesco d'Assisi, e domani potremo parlare dell'essenza dei veri impulsi morali. Vedremo così che non sono soltanto parole, ma realtà autentiche quelle che agiscono nell'anima e fondano moralità.




Credits to:
- La Scienza dello Spirito -
Tratto dal ciclo di conferenze."CRISTO E L'ANIMA UMANA
"Le sorgenti della moralità", pag. 70-76.





sabato 21 settembre 2013

L'arrivo dell'Autunno secondo la Scienza dello Spirito



- Equinozio d'Autunno -



    La morte annuale della natura e il risveglio delle forze interiori di volontà si bilanciano nell'equinozio d’autunno. Esso segna un’inversione di polarità nella manifestazione delle forze divine, che nei mesi precedenti si erano espresse principalmente nelle forme della natura, nella luce trionfante del giorno e che ora incominciano a pervadere la libera volontà dell’uomo. Quando la luce del mondo declina, l’uomo inizia a percepire sé stesso come portatore di una luce invisibile, non soggetta a tramonto. In tal senso il “dramma spirituale” dell’equinozio ricapitola e sintetizza la vicenda della storia sulla Terra: fine dell’età dell’oro, oscuramento del divino nella natura, sorgere dell’autocoscienza, senso individuale di solitudine cosmica e di responsabilità.

Quel sentimento di malinconia, suggerito dalle foglie che ingialliscono e cadono, deve essere energicamente bandito. La nostalgia del passato, il lamento “tradizionalista” non si addicono all'uomo nobile (all’“arya”): egli sa che nel cosmo ciò che declina e muore è bilanciato secondo giustizia da ciò che sorge e si afferma. Nell'equinozio di autunno si celebra l’affermazione della volontà, la capacità “faustiana” di porsi obiettivi e di perseguirli.

L’elemento alchemico dell’autunno è il Ferro: al ferro materiale che ha forgiato la nostra civiltà tecno-industriale deve corrispondere il ferro spirituale della volontà, concretamente – e razionalmente – esercitata.

Gli Dei benedicono l’azione concreta, la volontà che si afferma in progetti ben definiti o che si volge alla formazione di sé (alla Bildung).


In autunno, gli spiriti di natura fanno ritorno alla Terra. Riaspirati alle radici del terreno si sottopongono alle forze della gravità. La festa d’estate svanisce, ma nell’animo dell’uomo libero non vi è spazio per la malinconia.

Quando la natura si spegne bisogna volgersi alla coscienza di sé. La festa dell’equinozio che apre l’autunno è la festa dell’autocoscienza forte e libera, è la festa dell’iniziativa piena di energia, della liberazione da ogni timore e da ogni condizionamento dell’animo. Quando la natura esteriore si spegne e la vegetazione appassisce, cresce in compenso tutto ciò che si lega all’iniziativa interiore. Forze di volontà si liberano, l’Anima del Mondo esorta l’individuo a diventare più coraggioso.

Nel giorno dell’equinozio si celebra la festa del forte volere.

Al culmine dell’estate erano divenuti visibili i grandi stormi meteoritici che contengono il ferro cosmico. Quel ferro piovuto dal cielo in direzione della terra contiene l’arma degli Dei contro il drago-Ahrimane che vuole rubare agli uomini la luce animica, avvincendoli tra le sue spire. Allora il sangue umano si pervade di ferro: milioni di sfavillanti meteore turbinano nel sangue donando all’organismo l’energia per combattere ogni paura, ogni terrore, ogni forma degradante di odio. Come il volto dell’uomo quando corre diventa rosso vermiglio, così il corpo sottile dell’uomo irradiato di ferro cosmico comincia a emanare energia.

Nelle antiche mitologie ricorrono figure di divinità solari, giovani divinità dorate che abbattono un drago o un serpente che sale dalle viscere della terra. Quando le giornate di autunno si rabbuiano e si rinfrescano, quando cadono le foglie e le prime piogge, evoca nella fantasia queste figure divine mentre abbattono il drago: esse sono il simbolo della autocoscienza vittoriosa, che si sveglia dal sonno dell’estate, pronta a realizzare con decisione i propri obiettivi.

Si immagini il drago, il cui corpo è formato dalle correnti sulfuree che salgono dalla terra accaldata d’estate: queste correnti gialle e azzurrognole formano le squame, le placche, le spire del drago. Ma ecco sul drago librarsi il dio dal volto di sole: egli brandisce la spada, in una atmosfera satura di saettanti stormi meteoritici. In virtù della luce dorata irradiante dal cuore del dio le meteoriti si fondono in una spada di ferro, che penetra nel corpo dell’antico serpente e lo distrugge. Alimenta con l’immaginazione la corrente che scorre dalla testa verso l’organismo, verso il basso: come uno stormo di meteoriti dal cielo stellato piove sulla terra, così una cascata di energia si riversa dal capo al cuore e seguendo le vie del sangue giunge agli organi e agli arti. Ovviamente all’immaginazione deve accompagnarsi l’azione: se qualcosa è in disordine deve essere ordinato, se qualcosa era stato lasciato in sospeso ora deve essere portato a termine, se qualche timore irretisce il nostro animo bisogna mettersi alla prova e con accortezza superare il timore, se ancora qualche fede, qualche credenza domina l’anima è tempo di dissolverla con la forza della razionalità, se qualche malumore aveva offuscato il rapporto con una persona è tempo di chiarire le cose con cordialità e amore. Così, agendo con energia, si onora lo Spirito dell’Autunno, tanto simile all’Arcangelo Solare venerato dagli antichi Persiani.

Tutta la nostra civiltà è costruita col ferro. Da quando i nostri antenati irruppero da Nord sui loro carri di battaglia brandendo asce di ferro, la nostra civiltà ha trasformato il volto della terra battendo il ferro, forgiando l’acciaio. Si pensi agli aerei che sfrecciano in cielo, ai ponti sospesi tra le sponde, alle strade ferrate, alle grandi navi. Grazie all’elemento del ferro si afferma il dominio della tecnica. Ma ciò che sulla terra si manifesta come ferro, nell’interiorità dell’uomo si esprime come volontà. Per questo si dice: “volontà di ferro”.

Nell’aria dell’autunno, quando le piogge spazzano via la sensualità dell’estate, si compie un processo alchemico: Ferro scaccia Zolfo. La corrente di ferro, fredda e metallica, che piove dal cielo smorza la corrente sulfurea che era fuoriuscita dalle viscere della terra nei mesi caldi d’estate. Respirando la fresca aria dell’autunno l’uomo prende parte a questo processo. Bisogna percepire questa corrente alchemica e alimentarla con la volontà. La divinità solare dallo sguardo metallico, col suo gesto indicante accompagna l’uomo nel cambio di stagione.



Credits to:
elaborazione degli insegnamenti di Rudolf Steiner
a cura di: Scienza dello Spirito




venerdì 6 settembre 2013

Il perfezionamento dell'Anima, secondo la Scienza dello Spirito



- Il ricordo di sè o “stato della presenza” -




    La conoscenza svela le regole del gioco, le stanze, le fase e l’obiettivo della partita. Conoscere non è comunque vincere; per vincere occorre azzardare con se stessi.

E’ bene applicare una disciplina che preveda quotidianamente e sistematicamente delle sedute di concentrazione e meditazione, ma ancora più importante è cercare di portare nella vita di tutti i giorni un atteggiamento di perenne e continua presenza dell’io in ogni atto, pensiero quotidiano.

Ci si deve in ogni momento, ricordare di essere un “io” che è davanti alla scena del mondo, e partendo dalla percezione continua della propria individualità, solitamente avvertibile in un punto all’interno del cranio due centimetri entro le sopracciglia, si deve presiedere attivamente ogni atto, pensiero e sentimento che si presenti.

Molto di ciò che consideriamo “io” in noi è costituito da una somma di pregiudizi, abiti mentali e passioni che ci dirigono. Solitamente crediamo di essere noi a compiere un’azione, mentre la nostra educazione, la nostra cultura e le emozioni negative che ci ha inoculato l’ambiente sociale esterno ci spinge a farlo.

Non siamo mai noi i veri artefici che scelgono di fare liberamente una cosa, ma la passione, il desiderio, i pregiudizi precostituitesi in noi. Libera sarebbe solo un’azione scevra da istinti, impulsi e da meccacinità date dal nostro utilitarismo.

L’uomo non fa mai una cosa perchè la deve fare: la fa se gli conviene, se può trarre da essa qualcosa per sè.

Bisogna imparare a compiere azioni non per noi, ma per lo spirito del mondo. Così come il sole illumina e riscalda ciò che gli è attorno, senza richiedere nulla in cambio.

Deve esser ben chiaro che l’uomo non è i suoi istinti e le sue passioni; è qualcosa oltre ad essi, che non ha bisogno di nulla: è uno Spirito e ha in sè già la completezza. Il problema è che l’uomo è identificato non con il suo Spirito, ma con la sua anima.

Ad uno spirito non manca nulla, perché esso è il Tutto.

Non è lo Spirito che deve perfezionarsi, perché esso è già perfetto: lo deve fare l’anima.

Tutte le tecniche iniziatiche servono a distaccarci da tale identificazione animica, per portarci allo stato di intuizione: che vuol dire presenziare la vita non come essere animico, ma come essere Spirituale.

Perchè ciò avvenga è necessario che vi sia una struttura su cui lo Spirito umano possa affacciarsi e riflettersi, altrimenti non potrebbe mai arrivare alla coscienza di sè. Tale struttura è l’anima: ma come è ordinariamente precostituita per natura, non può asservirsi a ciò.

A tal pro, si insegna ad osservare ogni movimento, ogni percezione, ogni sentimento e pensiero che appaia nella coscienza, “seguendolo” attentamente, in modo che non vi sia nulla che facciamo, pensiamo o desideriamo che non passi sotto la “supervisione”, il “controllo” autocosciente di noi stessi.

La chiave è: “smascherare ogni automatismo animico in noi”.

Qualsiasi cosa si faccia non deve essere eseguita distrattamente e senza una diretta, chiara e continua consapevolezza del suo farsi da parte nostra: se ci accorgiamo di aver agito o pensato automaticamente, dobbiamo ri-compiere l’azione accompagnandola coscientemente in ogni sua fase.

Automatico” è qualsiasi atteggiamento che non viene accompagnato e eseguito senza la nostra presenza attiva, consapevole. Automatica è qualsiasi cosa appaia in modo meccanico: gesto, pensiero, movimento, abitudine, reazione.

Se ad esempio ci si alza a prendere qualcosa, ci si deve osservare in ogni atto; sentire il contatto dei piedi con il pavimento, il moto dei muscoli delle gambe, come si allunga la mano per prendere un oggetto.

Ogni momento della nostra vita dovrebbe essere in una continua attenzione dell’osservazione di sé. E significherebbe attuare in ogni attimo lo stato di contemplazione.

Con il tempo questo sforzo di attenzione diverrebbe spontaneo: saremmo entrati nel perenne stato della presenza.






Credits to:
- Scienza dello Spirito -
dal "Suono della Luce" di Tiziano Bellucci, Edizioni Crisalide